Sufismo by Alberto Fabio Ambrosio
autore:Alberto Fabio Ambrosio [Ambrosio, Alberto Fabio]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Religion, Islam, Sufi
ISBN: 9788870946796
Google: zuayLQAACAAJ
editore: Ed. Studio Domenicano
pubblicato: 2007-11-15T17:53:21+00:00
La danza sufi: il semââ
La danza sufi, chiamata più propriamente semââ, ha un impatto visivo e coreografico straordinario. Bisogna dire dapprima che il semââ non è da considerarsi una vera e propria danza. Nelle categorie occidentali, e in italiano quindi, non vi sono altri termini per indicare questo movimento e questa celebrazione; di conseguenza è necessario passare per lâidea della danza e in particolare della danza sacra. In realtà , il linguaggio sufi lo definisce come semââ, cioè come un ascolto. Il termine stesso indica il fatto di ascoltare: la âdanza sufiâ è in realtà un ascolto in profondità . Che si tratti di un ascolto, prima di diventare un movimento âdanzanteâ, è chiaro per il fatto che questo rito consta di un testo, il più sovente parole e musica insieme. Prima di addentrarci nel semââ dei dervisci danzanti, che è quello più conosciuto anche ai non addetti ai lavori, è bene sottolineare che non esiste solo questo. Molti sufi, appartenenti a diverse confraternite dalle diverse caratteristiche, praticano il semââ nelle modalità che sono tipiche del proprio gruppo. Perché? Perché, a ben pensarci, il semââ non è altro che il normale seguito, la conseguenza diretta della pratica dello dhikr. Quando si cantilla in gruppo il nome di Dio, il movimento studiato in precedenza finisce per coinvolgere tutto il corpo e produrre quel fenomeno che in termini occidentali è associato a una danza sacra, mentre per il sufi è la normale espressione corporea del dhikr. Anzi, a essere ancora più rigorosi nella definizione, soprattutto per la tradizione mevlevî, i dervisci mentre volteggiano ripetono incessantemente il nome di Allâh, rendendo così ben visibile il legame profondo tra dhikr e semââ.
Il semââ è dunque un ascolto profondo del nome di Dio, o di versi di poesia mistica o di versetti del Corano, il tutto accompagnato da una musica di strumenti orientali. Questa meditazione produce un movimento più o meno codificato, più o meno ritualizzato e che permette al sufi di esprimere esternamente una coreografia interiore che mette al centro Dio stesso.
Come esempio prenderemo proprio quello della confraternita dei dervisci danzanti che è il più tipico e anche il più conosciuto nel mondo. Questo rito consta di due parti principali, oltre allâintroduzione e ai riti finali. Dopo unâentrata solenne nella sala che è debitamente pensata per questa celebrazione, i dervisci si posizionano a sinistra del maestro, che entra per ultimo. La sala è circolare e la disposizione dei dervisci riproduce una sezione della circonferenza della sala. Dopo i primi saluti rituali scanditi anche dalla prima sura del Corano â la Fatiha â e dopo aver sostato prostrati ciascuno sul proprio tappeto di pelo (post), i dervisci si alzano, a turno si recano davanti al maestro e fanno una reverenza profonda. Questa reverenza consiste nel baciare le mani del maestro mentre fanno un inchino: ciò è possibile perché con lâanulare del piede destro toccano lâanulare del piede sinistro, in una posizione estremamente delicata per lâequilibrio che simboleggia tutto lo âsquilibrioâ nei confronti del maestro. Oltre che la reverenza questo rito designa tutto il senso dellâobbedienza al maestro.
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